1. Il PRINCIPIO
L′art.9 del D.M. 02/04/1968, n.1444 prevede una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e gli edifici fronteggianti; pertanto, va disapplicata in favore del suddetto art. 9 la normativa tecnica locale che, restringendone la portata prescrittiva, considera rilevanti, ai fini dell′applicazione della distanza minima, le sole pareti finestrate che aprano su vani abitabili; è quanto statuito dalla Corte di Cassazione, sez.II, con ordinanza del 02/08/2024, n.21790.
2.I FATTI
Tizio conveniva in giudizio Caio, chiedendone la condanna ad arretrare il fabbricato finestrato di sua proprietà a 5 metri dal confine, in ossequio al regolamento edilizio locale. Il convenuto, di contro, sosteneva la possibilità di derogare al regolamento locale, in quanto lo stesso fabbricato dell′attore si trovava a distanza inferiore di 5mt dal confine, a causa della presenza di una tettoia, solo in un secondo momento demolita. Il Tribunale accoglieva la domanda stante il mancato rispetto della distanza del fabbricato di Caio di mt 5 dal confine, così come accertato dal ctu.
Caio impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Appello, che la riformava in toto, rigettando dunque la domanda proposta da Tizio. Nello specifico, la Corte di Appello riteneva applicabile alla fattispecie la norma del locale regolamento che prevedeva un distacco minimo dal confine di cinque metri e, nel caso in cui fossero preesistenti fabbricati posti a distanza inferiore dal confine, l′altro edificio, purché non dotato di finestre verso il confine che si aprivano su vani abitabili, poteva essere collocato alla medesima distanza; ebbene, le finestre del fabbricato di Caio prospettanti sull′edificio di Tizio non insistevano su vani abitabili e, considerata la presenza della tettoia poi demolita, si doveva ritenere che entrambe le proprietà si trovassero alla medesima distanza dal confine. Alcuna violazione delle norme del regolamento edilizio si poteva dunque configurare in capo a Caio. Pertanto, Tizio ricorre in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello.
3.LA DECISIONE DELLA CORTE
Il ricorrente contesta la decisione della Corte di Appello per mancata applicazione nella fattispecie dell′art. 9 del D.M. 02/04/1968, n.1444, provvedimento che, emanato su delega della Legge Urbanistica, ha efficacia di legge e prevale dunque sulle norme locali regolamentari. L′art. 9 del D.M. impone una distanza minima pari a 10 metri in presenza di fabbricati con pareti finestrate, senza alcuna distinzione tra pareti che prospettano su vani abitabili o meno (nel caso di specie, la distanza tra l′edificio di Tizio e quello di Caio era di 8 metri). Illegittimo, quindi, è il regolamento edilizio locale che assegna un significato restrittivo a "parete finestrata", intendendo che la finestra dovesse aprirsi su un vano abitabile. Infatti, le norme locali possono derogare all′art. 9 del D.M. 1444/1968 solo se prescrivono una distanza maggiore di 10mt. Ebbene, la Corte giudica fondato il motivo di ricorso. Vertendosi in materia di distanze tra fabbricati, il giudice di merito avrebbe dovuto innanzitutto ricercare la norma applicabile alla fattispecie. All′uopo, ricorda il consolidato orientamento del giudice di Legittimità, secondo cui "nella materia delle distanze nelle costruzioni, il principio dell′art.9, numero 2, del D.M. 2 aprile 1968 n.1444, che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, non è immediatamente operante nei rapporti fra i privati, va interpretato nel senso che l′adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma comporta l′obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione dell′articolo 9 del D.M., divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che è stata disapplicata" (Sez. 2, n. 7563, 30-03-2006, Rv. 587075 - 01; conf., ex multis, Cass. nn. 56-2010, 8767-2010). Tale principio è stato altresì sancito dalle Sezioni Unite con sentenza 07/07/2011, n.14953, le quali hanno affermato che il decreto ministeriale non consente l′adozione di regole (derogatorie) di tal genere da parte dei Comuni, in quanto ne risulterebbe una disciplina contrastante con la lettera e lo scopo della norma di cui dovrebbe costituire l′attuazione. Questa esige in maniera assoluta l′osservanza di un distacco di almeno 10 metri per il caso di pareti finestrate, senza alcuna distinzione tra i settori di esse, secondo che siano o non dotati di finestre: distinzione estranea al testo della norma, che si riferisce complessivamente alle pareti e non alle finestre. È destinata infatti a disciplinare le distanze tra le costruzioni e non tra queste e le vedute, in modo che sia assicurato un sufficiente spazio libero... Sicchè, è evidente che nel caso portato all′esame della Corte di Cassazione la norma del regolamento edilizio che circoscrive la portata dell′art. 9 del D.M. 1444/1968 ai soli casi in cui la finestra apra su un vano abitabile fronteggiante sia affetto da assoluta illegittimità e va disapplicato dal giudice di merito.
In virtù di tanto, la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello affinché riesami il caso alla luce dei principi esposti; si trae dunque da Cass., sez. II, ord., 02/08/2024 n. 21790, il seguente principio di diritto: L′art.9 del D.M. 02/04/1968, n.1444 prevede una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e gli edifici antistanti; pertanto, va disapplicata in favore del detto art. 9 la normativa tecnica locale che, restringendone la portata prescrittiva, considera rilevanti, ai fini dell′applicazione della distanza minima, le sole pareti finestrate che aprano su vani abitabili.
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