La normativa sulle distanze per l′apertura di vedute e quella per l′apertura di luci contemplano presupposti, ratio e disciplina del tutto differenti. In particolare, la prima è volta a tutelare il proprietario dall′indiscrezione del vicino, non consentendo l′apertura di vedute ad una distanza inferiore di un metro e mezzo; in caso di mancato rispetto della predetta distanza, si può adire l′autorità giudiziaria al fine di ottenere l′arretramento o la chiusura della stessa. La seconda, invece, è volta a consentire il conseguimento di luce ed aria ad ambienti che ne sono privi, prevedendo, però, requisiti di altezza e sicurezza che sono condizionanti ai fini della loro legittimità, il cui rispetto può ottenersi in qualunque tempo dal proprietario del fondo confinante, attraverso la regolarizzazione delle aperture create in loro violazione. Sussistendo, quindi, profonde differenze fra gli istituti in oggetto, nel caso in cui venga proposta in primo grado una domanda di riduzione a distanza legale di una servitù di veduta, costituisce domanda nuova e, come tale, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la regolarizzazione di una luce irregolare, in quanto comporterebbe l′esecuzione di opere non ricomprese nell′originario petitum; è quanto statuito dalla Corte di Cassazione, sez. II, con la ordinanza del 28/07/2021, n.21615. La vicenda sottoposta all′attenzione del Collegio vedeva protagonista Tizio, il quale conveniva innanzi al Tribunale di Aosta la società Alfa, proprietaria di un edificio confinante a quello di sua proprietà; deduceva che la predetta società, nel procedere alla ristrutturazione dell′immobile, aveva provveduto, tra le altre cose, ad aprire nuove finestre che non rispettavano le distanze legali, chiedendone, quindi, la rimozione. Il Tribunale di Aosta non accoglieva la doglianza di Tizio in quanto la espletata istruttoria aveva rilevato trattarsi di luci irregolari e non di vedute, sicché la domanda, formulata in termini di rimozione e non regolarizzazione, non poteva che essere rigettata. Tizio proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Aosta innanzi alla Corte di Appello di Torino, la quale accoglieva il proposto gravame, condannando la società Alfa ad innalzare le luci irregolari aperte sul fabbricato ad una altezza di due metri nonché ad apporre su ciascuna di esse una grata fissa; ciò stante, la società Alfa proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino. La ricorrente rilevava che Tizio in primo grado non aveva chiesto la regolarizzazione delle finestre ma la loro riduzione a distanza legale e/o rimozione e che in secondo grado non aveva modificato legittimamente la domanda, poiché si limitava ad asserire che avendo il Tribunale già qualificato le contestate finestre come luci irregolari e non vedute, si sarebbe determinata implicitamente una automatica ed autonoma riqualificazione della domanda, da intendersi come istanza di regolarizzazione e non di rimozione. Sicché, accogliendo l′appello proposto da Tizio, la Corte distrettuale era incorsa in una evidente violazione dell′art. 112 c.p.c.. La Corte di Cassazione accoglieva il proposto ricorso, in virtù delle considerazioni che seguono. Sebbene il giudice di merito non è condizionato a qualificare la domanda della parte in virtù della interpretazione letterale della stessa, dovendo tener conto del contenuto sostanziale della pretesa nonché del provvedimento in concreto richiesto, non va dimenticato che l′art.112 c.p.c., che contempla il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, vieta al giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o di emettere una statuizione differente da quella prevista dalla domanda. Ciò posto, il Collegio sottolineava l′erroneità del ragionamento seguito dalla Corte di Appello di Torino, la quale censurava la decisione emessa in primo grado dal Tribunale di Aosta nella parte in cui non aveva ex officio riqualificato la domanda di Tizio quale regolarizzazione di luci irregolari in luogo di eliminazione di vedute. In particolare, la Corte di Appello reputava corretto accogliere il gravame di Tizio, all′uopo richiamando sia il principio di cui all′art.112 c.p.c., che vieta al Giudice di interferire nel potere dispositivo delle parti modificando arbitrariamente gli elementi fondanti dell′azione, ovvero petitum e causa petendi; sia, per altro verso, l′unanime giurisprudenza della Corte di legittimità a mente della quale, essendo diversi i presupposti e la ratio iuris che governano rispettivamente l′azione ex art.905 c.c. e quelle previste dagli artt. 901 e 902 c.c., viola il disposto di cui all′art.112 c.p.c. il Giudice di merito che innanzi alla domanda finalizzata ad ottenere la declaratoria di illegittimità di vedute ne disponga la regolarizzazione, qualificandole luci (ex multis., vedasi Cass., n.2558 del 2009; Cass., n.512 del 2013). Purtuttavia, rileva la Corte di Cassazione nella qui commentata ordinanza del 28/07/2021, n.21615, che il giudice di secondo grado ha fatto erronea applicazione dei principi da esso stesso richiamati, dal momento che "ha ritenuto che la richiesta regolarizzazione delle luci da parte dell′appellante non comportasse alcun mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, ma solo un semplice quid minus rispetto al rimedio previsto per le vedute" (Cass. n. 22553 del 2009). A tal riguardo, i giudici di legittimità ribadiscono che la disciplina dettata dall′art.905 c.c. in materia di vedute dirette presenta ratio, contenuti e presupposti del tutto differenti rispetto a quanto previsto dagli artt.901 e 902 c.c. in materia di luci. L′art.905 c.c. disciplina le distanze che devono rispettare quelle vedute che consentono di inspicere, ovvero di vedere il fondo del vicino, e di prospicere, ovvero di affacciarsi guardando anche obliquamente e lateralmente; la ratio della disposizione è quella di tutelare il proprietario del fondo dalla indiscrezione del vicino, impedendo la creazione di vedute di tal genere ad una distanza inferiore di un metro e mezzo. "La disciplina di cui agli articoli 901 e 902 c.c. regolamenta invece il diritto, iure proprietatis, di effettuare sul proprio fabbricato aperture verso il fondo del vicino allo scopo di attingere luce ed aria, senza affacciarsi su quello, stabilendo i requisiti di altezza e di sicurezza (collocazione di inferriate e grate fisse) alla cui sussistenza e′ condizionata la limitazione del diritto del vicino". Gli artt. 901 e 902 c.c. prevedono, quindi, che le cd. luci debbano essere poste a determinate altezze, nonché munite di inferriate e grate fisse. Ebbene, i provvedimenti adottabili in caso di inosservanza delle disposizioni sovra citate sono profondamente diversi: le vedute che violano le distanze previste dall′art.905 c.c. possono essere legittimate solo tramite l′arretramento o la chiusura delle stesse, mentre le luci che violano le prescrizioni sancite dall′art.901 c.c. possono essere fatte rispettare attraverso la semplice regolarizzazione delle aperture originariamente create ad una altezza o con parametri di sicurezza illegittimi; tale regolarizzazione puo′ essere, peraltro, chiesta in qualsiasi momento dal proprietario del fondo confinante, a norma dell′articolo 902 c.c.. Da ciò consegue che "la domanda volta ad obbligare il vicino alla regolarizzazione di una luce, pur costituendo quantitativamente un minus rispetto alla actio negatoria servitutis, rappresenta un qualcosa di diverso rispetto a quest′ultima; ne consegue che - proposta domanda originaria di riduzione a distanza legale di una servitu′ di veduta diretta ed indiretta sul proprio fondo - costituisce domanda nuova, come tale inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la regolarizzazione di una luce irregolare, atteso che l′accoglimento di detta domanda imporrebbe l′esecuzione di opere non ricomprese nel petitum originario" (Cass., n.22553 del 2009). Nel caso in esame, in primo grado Tizio aveva chiesto non la regolarizzazione delle luci aperte dalla società Alfa, bensì, del tutto genericamente, la eliminazione delle aperture reputate illegittime, in quanto realizzate a distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge; "sicche′ la decisione della Corte d′appello, che, qualificate le stesse aperture come luci, ne ha opinato la irregolarita′ per mancato rispetto delle prescrizioni di cui all′articolo 901 c.c., imponendone la regolarizzazione (non rilevando, in tale contesto, nemmeno evidenziare la eventuale erroneita′ o apoditticita′ della relativa affermazione), si colloca al di la′ delle domande dello stesso controricorrente, decidendo, tra l′altro, questioni sulle quali non si era sviluppato alcun contraddittorio e sulle quali quindi il convenuto non aveva potuto sollevare alcuna eccezione" (Cass. n. 2558 del 2009, cit.) Alla luce di tanto, si trae da Cass., sez. II, ord. 28/07/2021, n.21615 la seguente massima: "I presupposti, la "ratio" e la disciplina sulle distanze per l′apertura di vedute, da un lato e di luci, dall′altro, sono differenti: mentre nel primo caso si intende essenzialmente tutelare il proprietario dall′indiscrezione del vicino, impedendo a quest′ultimo di creare aperture a distanza inferiore a quella di un metro e mezzo, la cui inosservanza può essere eliminata solo con l′arretramento o la chiusura della veduta, nel secondo, diversamente, si regolamenta il diritto a praticare sul proprio fabbricato delle aperture verso il fondo del vicino, finalizzate solo ad attingere luce ed aria, stabilendo i requisiti di altezza e di sicurezza cui è condizionata la limitazione del diritto del vicino medesimo, il cui rispetto può ottenersi in qualunque tempo dal proprietario del fondo confinante, attraverso la semplice regolarizzazione delle aperture create in loro violazione. Ne consegue che, ove venga proposta una domanda di riduzione alla distanza legale di una servitù di veduta, diretta ed indiretta, sul proprio fondo, costituisce domanda nuova, come tale inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la regolarizzazione di una luce irregolare, atteso che il suo accoglimento imporrebbe l′esecuzione di opere non ricomprese nel "petitum" originario". L′immagine, nel rispetto degli altrui diritti, è tratta da:
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