"Un accordo può essere qualificato patto successorio e, quindi, nullo ai sensi dell′art.458 c.c., in presenza di tali condizioni: 1) il vincolo giuridico con esso creato ha la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione sono considerati dai contraenti come entità della futura successione o devono comunque essere compresi nella stessa; 3) il promittente ha inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così, dello "jus poenitendi"; 4) l′acquirente ha contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, deve aver luogo "mortis causa", ossia a titolo di eredità o di legato"; è quanto statuito dalla Corte di Cassazione, sez. II, con la ordinanza del 24/05/2021, n.14110. La vicenda sottoposta all′attenzione del Collegio vedeva protagonista Tizio, il quale, con scrittura privata del 20/11/2006 cedeva la nuda proprietà di due società delle quali era titolare ai figli Tizietto e Caietto, riservando a sé una quota di usufrutto; i figli, dal canto loro, si impegnavano a corrispondergli una rendita vitalizia annuale pari a 78.000,00 euro. Con scrittura privata del 24/11/2009 le parti integravano tali accordi: Tizio donava la quota di usufrutto che aveva in precedenza riservato ai figli, mentre questi ultimi si impegnavano a corrispondergli una rendita vitalizia annuale pari ad euro 120.000,00, da versare in quattro rate di 30.000,00 euro ciascuna; inoltre, Tizio si impegnava a custodire una collezione di opere d′arte ed ad incrementarne il valore, nonché ad informare i figli di eventuali ipotesi di operazioni di acquisto o vendita o baratto, operazioni che non dovevano determinare alcuna riduzione sostanziale del patrimonio; in buona sostanza, anche se la predetta collezione era di proprietà di Tizio, egli non poteva spossessarsene. Infine, stabilivano che tale collezione doveva essere conservata all′interno di un caveau, le cui chiavi erano in possesso di Tizio, e che ogni accesso doveva essere concordato con la di lui moglie Mevia. Successivamente, nell′anno 2013, Tizio chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Milano due decreti ingiuntivi nei confronti dei figli, poiché questi ultimi omettevano di versargli tre rate della rendita vitalizia sopra citata; Tizietto e Caietto proponevano opposizione ai decreti ingiuntivi, deducendo che la rendita era stata costituita sulla scorta della scrittura privata che prevedeva in capo al padre l′obbligo di custodire e gestire, possibilmente incrementandone il valore, una collezione di opere d′arte di sua proprietà, con obbligo di non compiere operazioni che la depauperassero e di non spossessarsene; sebbene custodita in un caveau, cui il padre poteva accedere previo accordo con la moglie Mevia, madre degli opponenti, Tizio, dopo aver esperito, con esito vittorioso, azione di reintegra nel possesso presso il Tribunale di Milano, trasportava la detta collezione in altro luogo a loro ignoto; pertanto, essendosi il padre reso inadempiente relativamente all′obbligo di non spossessarsi della collezione e di non diminuirne il valore, interrompevano il pagamento della rendita vitalizia; ciò stante, chiedevano in primis la risoluzione per inadempimento della scrittura privata del 24/11/2009, e, in subordine, la sua declaratoria di nullità ex art.458 c.c., in quanto costituente patto successorio, con condanna alla restituzione di quanto già pagato. Tizio, dal canto suo, si costituiva in giudizio chiedendo la conferma dei decreti ingiuntivi e la consequenziale condanna dei figli al pagamento delle rate; in particolare, negando qualsiasi suo inadempimento, deduceva di poter liberamente disporre della collezione, poiché l′obbligo di conservazione non era stato assunto a fronte del riconoscimento della rendita, non essendovi alcun rapporto di corrispettività tra le due pattuizioni; chiedeva altresì in riconvenzionale la risoluzione degli accordi collegati con i quali aveva ceduto proprietà ed usufrutto di proprie quote di società. Il Tribunale di Milano accoglieva l′opposizione, ritenendo le pattuizioni nulle in quanto contrastanti con il disposto dell′art.458 c.c., che vieta la stipulazione di patti successori; pertanto, revocava i decreti ingiuntivi, rigettando tutte le altre domande. Avverso la sentenza del Tribunale di Milano proponeva appello Tizio, il quale deduceva, da un lato, che l′accordo in oggetto non viola l′art.458 c.c., dall′altro, di avere pienamente adempiuto agli obblighi su di lui incombenti, atteso che la collezione, così come previsto nella scrittura, era rimasta integra. Tra l′altro, contestava la decisione di primo grado anche nella parte in cui aveva negato la sussistenza di un collegamento funzionale tra i vari accordi, i quali, per una condivisione della causa, andavano dichiarati tutti nulli dal momento che il giudice aveva accertato, sia pure erroneamente, che si verteva nell′ipotesi dei patti successori. La Corte di Appello di Milano accoglieva il proposto gravame, confermando l′efficacia dei decreti ingiuntivi e rigettando tutte le domande proposte dai figli di Tizio; Tizietto e Caietto, pertanto, proponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza. I ricorrenti ritenevano che gli accordi relativi alla conservazione della collezione di opere d′arte erano nulli in quanto costituivano patti successori; creavano, in poche parole, un vinculum iuris sulla predetta collezione onde evitarne la dispersione e garantirne loro la trasmissione al momento dell′apertura della successione. Più in particolare, osservavano Tizietto e Caietto, che la scrittura privata ricadeva sotto la comminatoria della nullita′ ex articolo 458 c.c. giacche′ tra le parti esisterebbe un′aspettativa di carattere successorio dato il rapporto di filiazione. Non a caso, la scrittura privata era stata appunto strutturata in termini tali da costituire un vinculum iuris sul patrimonio di opere d′arte. Orbene, al fine di consentire una comprensione più agevole del motivo di ricorso proposto dai ricorrenti, sembra opportuno soffermarsi, sia pure in maniera telegrafica, sulla essenza dei patti successori. L′art.458 c.c. dispone che è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. É del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi. Essi rappresentano una categoria di contratti o atti unilaterali che hanno ad oggetto la successione, universale o particolare, di una persona non ancora defunta; la norma che ne decreta la nullità è volta a tutelare la libertà testamentaria. Il testatore, infatti, può mutare le proprie volontà anche pochi istanti prima del decesso, sicché non può essere vincolato contrattualmente a disporre per testamento in un modo predeterminato e non più modificabile. D′altro canto, non può negarsi che la delazione successoria ha chiari paradigmi di tipicità, atteso che per l′ordinamento giuridico italiano è possibile succedere solo per legge o per testamento; pertanto, non è ammissibile una forma di delazione contrattuale o comunque ulteriore e diversa da quelle tipiche. Da ciò consegue la nullità di siffatte pattuizioni. Ciò premesso, nel caso di specie il Collegio non poteva che rigettare il ricorso, poiché le pattuizioni relative alla conservazione della collezione di opere d′arte non possono considerarsi patti successori; riprendendo in toto il ragionamento seguito dalla Corte d′Appello, i giudici di legittimità affermano che un accordo integra gli estremi del patto successorio solo in presenza delle condizioni che seguono: 1) il vincolo giuridico con esso creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità comprese nella futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, così privandosi dello ius poenitendi; 4) l′acquirente abbia contratto o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) il convenuto trasferimento, del promittente al promissario, debba avere luogo mortis causa ossia a titolo di eredità o di legato. Da quanto innanzi discende che le pattuizioni relative alla conservazione della collezione di opere d′arte non rivestono i caratteri suddetti, non potendosi, quindi, considerare alla stregua di quelle convenzioni che hanno ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, le quali fanno sorgere un vinculum iuris sul bene promesso, di cui la disposizione ereditaria rappresenta l′adempimento. La Corte di Cassazione, infatti, rileva che correttamente la Corte d′Appello aveva accertato che gli accordi in questione, lungi dal far sorgere un vincolo giuridico su una successione non ancora aperta ed attesa quindi la carenza degli elementi normativi e sintomatici propri della fattispecie prevista dall′art. 458 c.c., sono a prestazioni di carattere corrispettivo, diretti alla costituzione di una rendita vitalizia previo impegno a custodire, senza possibilità di alienazione, la collezione artistica. Un accordo di tal sorta, perseguendo un interesse meritevole di tutela secondo l′ordinamento giuridico, è protetto dai principi generali di cui agli artt. 1321 e 1322 c.c.. Alla luce di tali considerazioni, anche l′altro motivo di impugnazione proposto dai ricorrenti, a mente del quale l′accordo sarebbe comunque nullo per nullità e/o assenza della causa, inevitabilmente radicata, a loro dire, in aspettative di carattere successorio, viene reputato infondato: il negozio de quo è difatti atipico, a prestazione corrispettive, in cui la rendita vitalizia viene corrisposta a fronte dell′obbligo di custodire e gestire, senza possibilità di alienazione, una collezione di opere d′arte e persegue, dunque, interessi meritevoli di tutela. Mette conto rilevare che i ricorrenti si dolevano anche della parte della sentenza resa dalla Corte distrettuale in cui venivano rigettate la domanda di risoluzione della scrittura privata del 24/11/2009 per inadempimento di Tizio e quella conseguente di sua condanna alla restituzione di quanto già versatogli dai figli Tizietto e Caietto. Ebbene, anche in tal caso i giudici di legittimità accertavano la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte di Appello, che, a fronte della eccezione ex 1460 c.c. sollevata da Tizio - il quale lamentava che i figli, in violazione degli accordi di cui alla scrittura, gli avevano negato qualsivoglia possibilità di accesso al caveau in cui era custodita la collezione - reputava, con giudizio di comparazione dei rispettivi inadempimenti, più grave quello di Tizietto e Caietto, tra l′altro anche antecedente da un punto di vista causale e temporale a quello di Tizio. Il ricorso dunque, veniva rigettato in toto. 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