08-10-2021

Il cittadino ha il diritto di chiedere all′autorità giudiziaria la deindicizzazione di un articolo web contenente i suoi dati personali dai motori di ricerca, qualora trattasi di un soggetto non noto a livello nazionale

Il Giudice deve sempre bilanciare il diritto all′oblio dell′interessato con il diritto all′informazione della collettività, onde valutare quello prevalente nei singoli casi concreti

Il diritto di ogni persona all′oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all′identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all′informazione, sicché, anche prima dell′entrata in vigore dell′art. 17 Regolamento (UE) 2016/679, qualora sia pubblicato sul "web" un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la "deindicizzazione" dell′articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest′ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate; è quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sezione Prima, con la ordinanza del 31/05/2021, n.15160. La vicenda sottoposta all′attenzione del Collegio vedeva protagonista Tizio, il quale conveniva innanzi al Tribunale di Milano la società Alfa ed il Garante per la protezione dei dati personali, al fine di ottenere l′annullamento del provvedimento emesso dal suddetto Garante con il quale si rigettava la richiesta di Tizio volta alla deindicizzazione di alcune pagine web; in particolare, dette pagine contenevano alcuni articoli che riportavano intercettazioni telefoniche tra affiliati a clan mafiosi calabresi, nelle quali Tizio veniva definito quale soggetto utile per la realizzazione dei loro disegni criminosi; ciò comportava, tra l′altro, un grave danno all′immagine della società Beta, della quale Tizio era amministratore unico. Il Garante ed il Tribunale rigettavano la richiesta di Tizio in virtù di tre motivazioni: a) egli non era sottoposto ad alcuna indagine; b) la notizia rivestiva pubblico interesse; c) lo scarso lasso di tempo trascorso per il maturarsi del diritto all′oblio, giacché la notizia era presente in rete da poco tempo. Tizio, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza, lamentando la violazione delle norme contemplate dal Codice della privacy, nonché dei principi affermati in materia a più riprese dalla Corte di Giustizia Europea e dalla giurisprudenza nazionale, volte a contrastare la formazione sul web di biografie fuorvianti in quanto non corrispondenti (o non più corrispondenti) alla realtà. É pur vero, sosteneva il ricorrente, che l′utilizzo dei database offerti dai motori di ricerca consente in modo immediato l′esplicarsi del fondamentale diritto del pubblico all′informazione, ma ciò deve necessariamente rapportarsi ed equilibrarsi con gli altrettanto fondamentali diritti dell′individuo alla privacy ed alla tutela della propria identità personale; in effetti, il motore di ricerca rappresenta uno strumento informatico neutro ed insensibile, scevro da ogni meccanismo di controllo e selezione, limitandosi a rendere accessibile all′utente i dati dei cosiddetti siti sorgente attraverso la digitalizzazione di semplici parole chiave. Nel caso di specie, il Tribunale non avrebbe considerato, da un lato, la differenza sussistente tra la semplice conservazione dei dati, che indubbiamente risponde all′interesse pubblicistico all′informazione, e la indicizzazione di essi, che si sostanzia nella immediata comparizione di determinate pagine web alla semplice digitazione di parole chiavi (nella specie, criminalità, mafia, ndrangheta, boss); pertanto, il ricorrente lamentava una errata ricognizione e ricostruzione del diritto all′oblio, atteso che il Tribunale, avendolo ricondotto ad un mero dato temporale legato alla limitata permanenza del dato nell′archivio informatico, non lo aveva invece connesso al diritto all′identità personale e alla riservatezza, in virtù dei quali, tra l′altro, è vietata l′attribuzione al soggetto di una biografia personale difforme da quella reale. Sicché, il ricorrente deduceva la prevalenza del diritto all′oblio congiuntamente a quello dell′identità personale rispetto al diritto del motore di ricerca a rendere maggiormente fruibili, attraverso la indicizzazione, le informazioni contenute negli articoli contestati, in quanto esplicazione dei diritti inviolabili della personalità ex art. 2 Cost.; oltretutto, non rivestendo alcuna carica o ufficio che comporti esposizione mediatica, essendo amministratore unico di una società che opera "in un settore di mercato di nicchia", non apparivano sussistenti nemmeno le ragioni connesse al diritto all′informazione. Onde non tediare il lettore, considerata la estensione dell′articolo, si è ritenuto opportuno illustrare il principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite, unitamente ad un succinto riassunto della vicenda sostanziale che ha condotto il ricorrente a spiegare le sue ragioni innanzi alla Corte di Cassazione. Si rinvia, per la più approfondita analisi di Cass., Sez.I, 31/05/2021, n. 15160, al documento pdf allegato, scaricabile unitamente al provvedimento della Corte di legittimità.