07-03-2024

Il coniuge superstite titolare del diritto di abitazione sulla residenza familiare può concedere parte della stessa anche ad uno dei figli, il quale può stabilirvisi insieme alla rispettiva famiglia

Il diritto di abitazione del coniuge superstite è commisurato alla situazione esistente al momento della morte del de cuius

Il diritto del coniuge superstite ad abitare la casa familiare è commisurato alla situazione esistente al momento della morte dell′altro coniuge. E consentire ai figli di abitare parte del fabbricato - che nella sua totalità era stato sempre destinato a residenza coniugale - è situazione di fatto che non incide in alcun modo sul diritto sostanziale del coniuge che ha ereditato pro quota parte del diritto di proprietà sul bene, oltre a quella già ricadente nella comunione tra coniugi. Di fatti, il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, II comma, c.c.), ha ad oggetto l′immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare; esso è commisurato alla situazione di fatto esistente al momento della morte del coniuge e non è influenzato da eventuali mutamenti successivi, come l′aver concesso ai figli di adibire alcune parti dell′immobile a loro stessa residenza familiare, purché l′intero immobile, al momento della morte del de cuis, era utilizzato quale casa coniugale; tali principi, peraltro consolidati sia in dottrina che giurisprudenza, sono ribaditi da Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, ordinanza del 22/06/2020, n.12042.
La controversia sottoposta all′attenzione del Collegio sorgeva in seguito alla morte di Tizio, deceduto ab intestato, al quale succedevano ex lege il coniuge e quattro figli; l′asse ereditario comprendeva la quota indivisa di un mezzo di un fabbricato, il cui rimanente 50% apparteneva già al coniuge superstite; essendosi cumulata la quota originaria con quella acquisita per successione, quest′ultimi era titolare di 666/1000 del fabbricato, mentre ad ogni figlio spettava una quota pari ad 83/1000. Successivamente, il coniuge superstite vendeva la intera quota di sua appartenenza ad uno dei figli, il quale, tra l′altro, provvedeva ad occupare il primo piano, mentre al secondo si stabilivano il di lui figlio con rispettiva famiglia. In tali appartamenti, venivano altresì cambiate le serrature, impedendo qualsivoglia forma di accesso e godimento da parte degli altri coeredi.
Ciò posto, i germani esclusi convenivano in giudizio la propria madre e il fratello acquirente, chiedendo la divisione dell′intero immobile, la corresponsione dei frutti e la consegna delle chiavi; le domande proposte venivano rigettate sia in primo che in secondo grado; in particolare, osservava la Corte di Appello che l′applicabilità dell′art. 540 c.c., comma 2 in favore del congiuge superstite escludeva che i coeredi potessero rivendicare diritti e/o frutti a causa del mancato godimento dell′immobile, spettando il godimento al solo coniuge in forza del diritto di abitazione; d′altra parte, rilevava altresì che i diritti del coniuge non sono soggetti alle limitazioni di cui agli artt. 1021 e 1022 c.c., sicché sono pacificamente esercitabili anche ammettendo altri nel godimento del bene. I germani succumbenti impugnavano la sentenza della Corte di Appello innanzi alla Corte di Cassazione in virtù dei seguenti motivi: a) l′atto di acquisto non abilitava il fratello al possesso dell′intero bene con esclusione degli altri condividenti, essendo applicabili nella fattispecie le regole della comunione; b) a mezzo dell′atto di acquisto, il fratello era subentrato nella piena proprietà del bene e non solo, come invece sostenuto dal giudice di merito, nella nuda proprietà, atteso che il coniuge superstite con il trasferimento aveva rinunziato al diritto di abitazione; c) in ogni caso, il diritto di abitazione riguardava senz′altro la casa familiare così come determinata prima della morte del de cuius, ma con limitazione ai bisogni individuali del coniuge superstite. Il suo diritto, difatti, non poteva estendersi ad una parte dell′abitazione non utilizzata per sue esigenze personali, ma addirittura destinata ad altri. La Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso per manifesta infondatezza, sostanzialmente condividendo i ragionamenti condotti dal giudice d′appello. In via preliminare, il Collegio rilevava come il coniuge superstite avesse indubbiamente conseguito il diritto di abitazione di cui all′art.540, comma II c.c., poiché era titolare di una quota pari al 50 % dell′immobile oggetto di giudizio; la menzionata norma, in effetti, sancisce che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tra l′altro, considerato che nella successione legittima il coniuge superstite acquisisce i diritti automaticamente, sulla falsariga dei legati di specie ex art. 649 c.c., nella comunione ereditaria è inclusa la sola nuda proprietà dell′abitazione e, pertanto, gli altri coeredi, nudi proprietari, non maturano alcun diritto derivante dal mancato godimento dell′immobile, che spetta solo al coniuge superstite. La misura dell′acquisto del diritto di abitazione del coniuge non è definita, come i ricorrenti deducevano, dai bisogni concreti dell′abitatore, ma esclusivamente dalla destinazione che la res aveva prima della morte del de cuius; difatti, il diritto di abitazione è ben diverso da quello previsto dall′art.1022 c.c.: il primo ha una portata ben maggiore, giacché la legge non prevede uno sfruttamento dell′immobile finalizzato al solo soddisfo dei bisogni personali propri e della propria famiglia; tale limite, infatti, non è contemplato dall′art.540 ma solo dall′art.1022 c.c.. Tuttavia, tenuto conto che il godimento e l′uso, quali facoltà ricomprese senza limiti nel nucleo del diritto di abitazione, si estendono su tutto l′immobile adibito a casa coniugale, non essendo possibile limitarne l′esercizio solo su alcune parti di esso, ne deriva che, quale logica conseguenza, il diritto di abitazione può avere ad oggetto solo l′immobile concretamente utilizzato quale casa coniugale al momento della morte del de cuius, non potendosi estendere ad altro immobile, nemmeno qualora trattasi di appartamento insistente nello stesso fabbricato. Tale principio, pacifico in giurisprudenza, comporta, come già detto, che l′estensione del diritto è determinato esclusivamente dalla situazione di fatto sussistente al momento della morte del de cuius; è quel momento, in buona sostanza, che definisce l′acquisto del coniuge superstite e non i suoi bisogni personali. Sulla scorta di tanto, emergevano evidenti gli error del ricorrente, il quale attribuisce al principio di giurisprudenza un significato assai diverso da quello effettivo. Esso andava riferito non alla situazione instauratosi di fatto dopo la morte, una volta avvenuto l′acquisto nella misura predefinita dalla precedente utilizzazione, ma in considerazione della destinazione dell′immobile prima che si aprisse la successione, non essendo applicabile l′art. 1022 c.c.... Insomma la censura non si confronta con il principio, pacifico nella dottrina e nella giurisprudenza e applicato dalla corte di merito, che unico e solo parametro per determinare la misura dell′acquisto in favore del coniuge è dato dalla destinazione al momento della morte del coniuge. Le successive scelte del coniuge, di consentire l′utilizzazione del bene al uno dei figli e ad altri congiunti, restringendo il proprio godimento a una parte della cosa, non configurano una causa di estinzione neanche parziale dei diritti acquistati ai sensi dell′art. 540 c.c., comma 2. Pertanto, laddove, successivamente alla morte del de cuius, la situazione dovesse mutare per scelte del coniuge superstite, ad esempio, come nel caso de quo, concedendo parte dell′immobile al figlio consentendogli di destinarlo quale sua casa coniugale, ciò non rileva, non comportando di certo l′estinzione del diritto. In virtù di tali presupposti, il Collegio non poteva che rigettare il ricorso, poiché dalla istruttoria svolta nel corso del giudizio di merito emergeva come l′intero immobile era adibito a casa coniugale al momento della morte del de cuius (primo e secondo piano inclusi), sicché il diritto di abitazione del coniuge superstite si estendeva sull′intero. Quanto all′atto di acquisto, esso andava interpretato in due modi alternativi; o il coniuge aveva venduto la sola nuda proprietà, riservandosi il diritto di abitazione; oppure, aveva ventuto la piena proprietà di tutte le sue quote, sia proprie che acquisite iure erditatis: in tal caso, rimaneva comunque titolare del diritto di abitazione sulle restanti quote dei figli. Nell′uno e nell′altro caso, alcun comportamento illegittimo avrebbe comunque commesso, ben potendo, nell′esercizio del suo diritto di abitazione, concedere ad uno dei figli di abitare uno dei piani già in precedenza adibiti a residenza coniugale. Sulla scorta di tanto, si traggono da Cass., sez. VI, 22/06/2020, ord. n. 12042 i seguenti principi di diritto: Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, secondo comma, c.c.), può avere ad oggetto soltanto l′immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de cuius" come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare. Il diritto del coniuge superstite ad abitare la casa familiare è commisurato alla situazione esistente al momento della morte dell′altro coniuge. E consentire ai figli di abitare parte del fabbricato - che nella sua totalità era stato sempre destinato a residenza coniugale - è situazione di fatto che non incide in alcun modo sul diritto sostanziale del coniuge che ha ereditato pro quota parte del diritto di proprietà sul bene, oltre a quella già ricadente nella comunione tra coniugi. Il diritto abitativo della casa coniugale del coniuge del defunto non èmodificato da situazioni di fatto, come l′aver concesso ai figli di adibirealcune parti dell′immobile a loro stessa residenza familiare. Difatti, il diritto del coniuge superstite ad abitare la casa familiare è commisuratoalla situazione esistente al momento della morte dell′altro coniuge . L′immagine, nel rispetto degli altrui diritti, è tratta da: Casa vettore creata da upklyak - it.freepik.com